(Estratto da pag. 29-30 di Venti d’amore).
L’Io Potenziale che si mette in moto, l’ho visto durante la prima esperienza che ho fatto in Africa con P. Angelo. Ti ho detto qualcosa prima di come ero assopito e ancora non lo sapevo, no? Ebbene, leggi il breve racconto più avanti sulla prima esperienza fatta in Africa, a Nakaseke in Uganda. Non mi sembrava possibile. Ero come uscito da un involucro. Finalmente sperimentavo una libertà ed espressione senza una divisione in me (essere dentro una cosa e fuori un’altra). Nell’amore, nel mettermi in moto, anche in modo non pienamene maturo, è uscito fuori il Marco che stava dentro. E poi, io che ero stato in giro per il mondo ad aiutare e ad esplorare… che differenza!
Ero stato a portare pacchi viveri durante la guerra in Bosnia. Bello e utile, ma mi era stato tanto stretto l’osservare persone che ricevevano pacchi, pure se provenivano da generosità di altre persone. C’era concentrazione sulle cose, necessarie, ma cose; fatti benemeriti, intendiamoci, ma non avevo sentivo amore, né riuscivo a darlo.
Ero stato anche in Senegal da viaggiatore anni addietro. Che amarezza vedere gli Slum, le baraccopoli! Un senso di impotenza e falsità di relazione con gli Africani che, abituati coi turisti italiani che andavano nei villaggi turistici, si fingevano cordiali e gentili per poterti spillare qualche Franco. Fastidio ed anche rabbia per le falsità di relazione.
Ed il Madagascar, qualche tempo dopo, natura sconfinata ma niente relazione con le persone; le poche con cui avevo potuto relazionarmi erano i portatori che caricavano i miei bagagli per i chilometri della mia avventura nella foresta. Relazione inquinata direi… Un senso di impotenza mi accompagnava ad ogni ritorno ed un desiderio di fare “altro” che, non sapevo, in realtà si stava preparando.
Stavolta, da missionario alla prima esperienza, vado nello Slum di Kibera. Stessa situazione di degrado umano del Senegal o del Madagascar. Ma con una sensazione di positivo inimmaginabile! Pensa, non sentivo neanche la puzza delle fogne a cielo aperto o la puzza di piedi persistente in quei tuguri dove abitavano le famiglie, che visitavo insieme a P. Angelo. C’era una risposta in positivo, di persone con Dio che si davano da fare e c’era la positività di un intervento per risolvere. Ancora molto embrionale, visto con gli occhi di oggi, ma la potenza di una relazione tra noi, loro e i generosi donatori era tangibile. Incoraggiava il sorriso e la fiducia che loro davano a me. Una cosa era osservare la disperazione, un’altra cosa essere parte del meccanismo di soluzione. Anche qui, come a Nakaseke, mi davo i pizzicotti: “È tutto vero!”. Ed ero solo alla mia primissima esperienza missionaria, quante altre belle sorprese negli anni a venire.
